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Come si scrive la quiete dopo la tempesta (finanziaria)

di Lorenzo Bini Smaghi

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20 giugno 2009

Il Consiglio europeo ha approvato modifiche significative nel dispositivo istituzionale dell'Unione Europea per la supervisione e la regolamentazione finanziaria. Sono indubbiamente riforme importanti in particolare, ma non solo, nel contesto della crisi finanziaria iniziata nell'agosto 2007. E la Bce è interessata a queste riforme, in particolare all'aspetto macro-prudenziale, vale a dire alla creazione di un Comitato europeo per il rischio sistemico.

La supervisione macro-prudenziale trae origine dal fenomeno di rischio sistemico. Nel 2000 Andrew Crockett – all'epoca direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionali e presidente del Forum per la Stabilità Finanziaria – aveva descritto in modo particolarmente illuminante la natura e la necessità di una politica di supervisione macro-prudenziale. Crockett sosteneva che dovevamo «consolidare un cambiamento di prospettiva già in atto, e integrare la prospettiva micro-prudenziale con una maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti dell'aspetto macro-prudenziale».
Nella sua definizione, lo scopo della supervisione macro-prudenziale era di limitare la probabilità di fallimento, e i relativi costi, di porzioni significative del sistema finanziario (suscettibili di rischio sistemico). Sull'altro versante, l'obiettivo micro-prudenziale può essere considerato come quello di limitare la probabilità di fallimento di singoli istituti (suscettibili di rischio idiosincratico).
Dalla prospettiva odierna, la distinzione pare rilevante così come lo era dieci anni fa. Tuttavia l'esperienza della crisi attuale e la storia delle crisi passate, nonché le trasformazioni dei sistemi finanziari moderni, ci chiedono di andare oltre. Dovremmo per esempio chiederci quale deve essere la portata della supervisione macroprudenziale. Distinguerei due dimensioni. La prima è l'analisi e il monitoraggio del rischio. La seconda è il contenimento dei rischi già identificati, il quale richiede strumenti specifici.

Quale quadro istituzionale dovrebbe sorreggere la supervisione macroprudenziale? Un tale quadro implica inevitabilmente due attori principali: la banca centrale e l'autorità di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari. Quest'ultima ha le informazioni sui singoli operatori e sugli andamenti dei mercati, ed è responsabile per la stabilità delle istituzioni creditizie. La banca centrale dispone delle capacità analitiche per valutare il rischio macroeconomico e gli sviluppi globali dei mercati finanziari. Un sistema ben funzionante richiede un flusso completo d'informazioni: dall'autorità di vigilanza alla banca centrale, per fornire tutte le informazioni rilevanti per monitorare e analizzare i rischi, e viceversa, dalla banca centrale all'autorità di vigilanza per fornirgli il risultato dell'analisi del rischio e accertare che le misure appropriate siano state implementate. È essenziale che ci sia una ripartizione chiara di responsabilità, per fornire alle due istituzioni gli incentivi adatti a conseguire risultati attraverso la cooperazione, evitando conflitti che portano a risultati disastrosi. Per semplificare l'analisi delle opzioni disponibili, baserò la mia analisi sulla Turner Review. In breve, la Turner Review assegna alla banca centrale la responsabilità di effettuare l'analisi dei rischi sistemici, ma considera tre modelli diversi per quel che riguarda l'attuazione delle misure per contenere tali rischi.

Nel Modello 1, la banca centrale identifica i rischi sistemici e fa raccomandazioni all'autorità di vigilanza microprudenziale che stabilisce le azioni da mettere in atto per affrontare tali rischi.
Nel Modello 2, non solo la banca centrale è incaricata di identificare i rischi, ma è anche in grado di prendere le misure macroprudenziali appropriate o di richiedere all'autorità di vigilanza micro-prudenziale di metterle in atto.
Nel Modello 3, un comitato congiunto, composto da rappresentanti della banca centrale e dall'autorità di vigilanza, decide le misure da adottare.

A mio parere, il terzo modello è il meno adeguato, perché rischia di confondere le responsabilità della banca centrale e dell'autorità di vigilanza. Eventuali dissensi tra la banca centrale e l'autorità di vigilanza all'interno del comitato non potrebbero essere resi pubblici, perché ciò minerebbe la credibilità delle decisioni. Ciò significa che di fatto l'autorità di vigilanza ha un diritto di veto sulla banca centrale. Se alle due componenti del comitato fosse consentito di dissentire pubblicamente, il Modello 3 diventerebbe molto simile al Modello 1 in cui le divergenze sono rese pubbliche e l'autorità di vigilanza ha l'onere di spiegare perché non concorda con la banca centrale e non agisce come essa suggerisce. Un altro svantaggio del Modello 3 emerge quando l'autorità di vigilanza non è indipendente dall'autorità politica. Non mi dilungherò sulla necessità di tale indipendenza, ma a mio avviso la crisi recente se non altro l'ha fortemente confermata. Guardando ai vari paesi europei, sarebbe interessante verificare fino a che punto, durante la crisi recente, i problemi d'insolvenza delle banche sono emersi soprattutto laddove la vigilanza sul sistema bancario non è effettuata dalla banca centrale, e laddove l'indipendenza dell'autorità di vigilanza (anche in termini finanziari e istituzionali) è meno protetta di quella della banca centrale. Inoltre, nel contesto dell'Unione Europea, il Modello 3 sarebbe particolarmente difficile da applicare in quanto richiederebbe un accordo tra molteplici autorità di vigilanza nazionali, a meno che non si arrivi a una situazione in cui le banche centrali e le autorità di supervisione siano rappresentate ciascuna da una singola istituzione europea. Nel sistema attuale le banche centrali possono essere rappresentate dalla Bce, ma i supervisori non hanno ancora un sistema analogo.

  CONTINUA ...»

20 giugno 2009
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